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domenica 28 novembre 2010

Cara Caterina...

Cara Caterina,

scrivo questo articolo per te, che hai dato vita a un vivace contraddittorio su Facebook in relazione a Giovanni Allevi e alla sua musica, ma in realtà prendo questa occasione come una scusa per riflettere, anche per quanto riguarda me personalmente, su ciò che viene considerato "bello" o "di valore" in musica e nell'arte in genere.

Per prima cosa, devo darti ragione in merito all'esprimere giudizi negativi su qualcosa che non ci piace. In effetti, a volte capita, come nella frase che ho condiviso su FB, un'occasione troppo ghiotta per una battutaccia. Ma quando si vuole fare un ragionamento serio, io per primo ritengo che i gusti siano personali e non sia il caso che terze persone sindachino su ciò che piace a me, te o chiunque altro. Per cui, se una cosa non ci piace, possiamo limitarci a farne a meno, senza prendercela con coloro che tale cosa trovano gradevole.

Ti dirò, tra l'altro, che in questo frangente la voglia di fare una battutaccia ha prevalso su ogni altra considerazione: trovo infatti estremamente melensa la frase di Benigni, e ti assicuro che se dovessi scegliere un compagno per una vacanza in barca, preferirei sicuramente Allevi a Benigni, che non mi piace per niente, in nessuna delle sue manifestazioni cosiddette artistiche. Non mi piace il calcare la mano sull'accento toscano, che non trovo per niente accattivante, non mi piace la sua recitazione, non mi piacciono gli argomenti che tocca. Eppure ho sfruttato una delle sue frasi, una delle tante che miriadi di persone in buona fede fanno circolare su Internet, come le frasi di tanti altri cialtroni, per appiccicarle una cattiveria gratuita contro un povero pianista. Per cui, come vedi, a volte vale il detto di un mio antico conoscente che diceva "meglio perdere un amico che una battuta"...

Per quanto riguarda la valutazione di un fenomeno artistico, io cerco sempre di andare con i piedi di piombo, ed è per questo che scrivo questa nota: penso che faccia parte del mio dovere d'insegnante anche esprimere di fronte ai miei studenti quali siano i criteri che io utilizzo quando "decido" se una cosa mi piace o meno. È un argomento che non si tocca quasi mai, in Conservatorio, anche perché si finisce per studiare sempre gli stessi autori, che ormai sono mostri sacri che non si possono toccare, sono per così dire "condivisi" da tutti; oppure si studia musica di autori molto "specialistici" (pensa a Salzedo) che restano più o meno confinati in una classe di strumento. Difficilmente si ha il tempo di discutere del bello o non bello in musica, e difficilmente si può prescindere dal fatto tecnico sotteso a un brano che si studia in classe di strumento. Al massimo ci si limita a qualche concisa annotazione del tipo "questo passaggio è un po' contorto" o "questo pezzo è fantastico" ma raramente si ha, credo, la possibilità di discutere a fondo del perché un passaggio appare contorto o un brano appare "fantastico".

Bene, sull'estetica come branca della filosofia sono stati versati, come si suol dire, fiumi d'inchiostro. La nostra enciclopedia di riferimento, Wikipedia, recita: "L'estetica è un settore della filosofia che si occupa della conoscenza del bello naturale e artistico, ovvero del giudizio di gusto". Ovvero si postula che esista un "bello naturale", preesistente al gusto e quindi in un certo senso "inciso" nella mente dell'Uomo, e un "giudizio di gusto" che molto probabilmente dipende dalla coscienza collettiva in cui un soggetto è immerso, e dalla personalità del soggetto stesso.

Se accettiamo l'idea di un "bello naturale", probabilmente ci viene istintivo domandarsi che cosa ci appaia "bello" e perché ciò accada "naturalmente". Non so nelle altre arti e situazioni estetiche, ma penso che per la musica, una delle caratteristiche che rendono naturalmente "bello" un brano sia la simmetria. Quando studierai l'analisi e l'armonia, vedrai come nei brani ritenuti universalmente "opere d'arte" (più o meno belle, a seconda di chi le ascolta, ma in un certo senso "imprescindibili" per la cultura musicale), gli autori ricerchino sempre una certa qual simmetria, una "struttura" sottesa alla musica che l'ascoltatore percepisce a volte consapevolmente, a volte inconsapevolmente, ma che comunque da il senso a chi ascolta di una certa "compiutezza" del discorso. Diciamo che la simmetria (o la voluta assenza della stessa, che è comunque un caso particolare di simmetria) costituisce un pilastro importante della costruzione musicale, ed è in gran parte responsabile della "gradevolezza" o meno di un brano o di un lavoro di ampio respiro, come un'opera lirica, ad esempio.

Altre caratteristiche importanti per la "bellezza" di un brano sono, a mio parere, il linguaggio utilizzato e la profondità con cui chi ascolta conosce tale linguaggio. Facciamo un salto analogico e pensiamo alla letteratura: quante meravigliose poesie in cinese, quanti fulminanti Haiku in giapponese, ci lascerebbero completamente indifferenti o addirittura perplessi, se venissero recitati a noi che non sappiamo il cinese né il giapponese? È chiaro che il linguaggio musicale di un brano deve essere noto all'ascoltatore, oltre che al musicista, altrimenti la comunicazione tra i due non avviene. E, ma questa è un'annotazione mia che molti troverebbero opinabile, il linguaggio del musicista deve essere "up to date", "al passo" con il linguaggio "generale" della sua epoca. Ovvero è preferibile che un musicista, come qualsiasi altro artista, si esprima con il vocabolario sonoro della sua epoca, dell'epoca in cui è nato, vive e lavora. Ho detto "è preferibile" perché per me in questo campo non esistono articoli di fede. Ma certamente un compositore che si mettesse oggi a scrivere concerti per archi "à la manière de" Vivaldi, compirebbe un'operazione a mio parere priva di senso. La musica di Vivaldi l'ha già scritta Vivaldi, ed è inutile scrivere dei cloni di tale musica, a meno che non servano per motivi ben precisi: ad esempio per sonorizzare un film ambientato nel settecento con brani che si adattino alle sequenze cinematografiche meglio della musica disponibile di autori del periodo in questione. Ma nel reame della cosiddetta "musica pura" o "musica assoluta", ovvero di quella musica che non si prefigge di descrivere una "storia" o di sottolineare, appunto, dei momenti di un film, l'operazione di "remake" non ha, a mio parere, né capo né coda.

Un'altra caratteristica importante per un brano musicale è il "percorso": non so come esprimerlo meglio ma il mio maestro di composizione soleva dire, e io gli do ragione, che un brano deve "andare da qui a lì passando per lì, lì e lì". Ovvero si deve in un certo senso "muovere". A un'idea iniziale (il motivo, il tema, il soggetto, chiamalo come vuoi) deve seguire uno svolgimento dell'idea stessa, per arrivare poi a una conclusione, proprio come si farebbe in un discorso. Il parallelo con il discorso non è casuale, sapessi quanti studi si sono fatti sulla "retorica" della musica paragonata alla retorica della scrittura e dell'espressione orale. Ora, cara Caterina, capirai bene che se in questo mio "discorso" scritto diretto a te e a tutti gli studenti nostri amici, io avessi esordito, come ho fatto, con "scrivo questo articolo per te" e poi avessi ripetuto la stessa frase per quattro, otto o sedici volte (sì, le frasi musicali vanno per multipli di quattro, solitamente...), tu stessa avresti detto, come Aldo di Aldo, Giovanni e Giacomo "Miiii! Ho capiitoo!".

Anche per quanto riguarda questa affermazione, non esistono regole ferree: esistono invece fenomeni musicali, propri sia di altre culture, sia della nostra, in cui la ripetitività è desiderata e perseguita. Ci sono i mantra che vanno ripetuti un'infinità di volte per raggiungere uno stato superiore della coscienza. Ci sono stili musicali che ricercano una ripetitività ipnotica o semplicemente "parlano" al corpo in movimento senza ricercare un "colloquio" con la mente: pensa alla musica cosiddetta "da discoteca" e ai tanti stili circonvicini (trance, techno, sinthesyzer, et cetera ceterandum) e alla vera e propria ossessività con cui semplicissimi moduli ritmici o anche melodici si ripetono per tutta la durata del brano, con qualche breve "stacco" a intervalli regolari. Questi fenomeni ricadono però, secondo me, in un settore liminale dell'arte dei suoni, che quasi si avvia a non essere più musica: e non per la povertà dei "temi" o dello "sviluppo" degli stessi, ma proprio per la rinuncia a priori a un "discorso" con l'ascoltatore.

Bene, questi sono alcuni dei criteri che più o meno inconsciamente agiscono su di me quando ascolto un brano musicale. Resta fuori il criterio dell'evocazione, che però dipende molto dal singolo ascoltatore. Io per esempio non potrei mai dirigere un coro di voci bianche. Le voci dei bambini mi fanno piangere, quasi immediatamente, anche se cantano l'inno più festoso che si possa immaginare. Evidentemente, su di me, nel mio semisecolare cervello, le voci bianche hanno un effetto lacrimogeno, che non so nemmeno spiegare. Evocano, appunto, una qualche atmosfera di tristezza, che su di me ha l'effetto che dicevo.

Se invece ascolto determinate canzoni, anche fieramente brutte, anche a me come a tutti tornano in mente determinate persone, situazioni, sentimenti, legati a quelle canzoni. Ma ovviamente nessuno di noi può pretendere che i propri meccanismi evocativi siano validi per altre persone...

Un ultima annotazione è quella riguardante il fatto che, come c'è musica e musica (titolo di un bel programma RAI di 40 anni fa, mai più ripetuto), ci sono momenti e momenti. Se devo accendere un apparecchio sonoro per fare da sottofondo a una chiacchierata, probabilmente non sceglierò un brano di Webern (autore che peraltro mi piace moltissimo) o di Marylin Manson (ebbene, sì, ascolto anche lui), ma... Magari verrebbe bene proprio un CD di Allevi o qualche cosa poco "problematica" di un genere affine. Proprio come, per quanto riguarda la letteratura, quando in estate vado al mare preferisco portarmi la Settimana Enigmistica o Topolino invece che un qualche pesantissimo tomo di letteratura "colta". Ma ci sono anche degnissime persone che si portano al mare trattati di semiotica o le "Etimologie sive origines" di Isidoro Vescovo di Siviglia, in latino. Diciamo comunque che il brano che si ascolta dipende anche dal momento.

Ora, per quanto riguarda l'oggetto del contendere, io non ho niente contro Allevi. Non lo ritengo un mostro da sterminare, come tanti miei insigni e colendissimi colleghi o altre "prime donne" dell'establishment musicale. Quando c'è stata la diatriba tra Allevi e Ughi sul giornale, non avrei francamente saputo per chi fare il tifo. Di Allevi ho già detto che non mi piace, ma Ughi è simpatico come una tarantola e rappresenta, ai miei occhi, solamente una specie diversa di "asso pigliatutto" musicale, di quelli che li trovi dappertutto, persino nella cantina di casa tua, e che non lasciano spazio ad altri, e magari più giovani, musicisti. Vuoi degli altri nomi? Non sopporto (umanamente) Muti, non mi piace per niente (umanamente e musicalmente) Abbado, ho saputo cose di Mazel che me lo hanno reso poco simpatico... Ma in generale quello che rimprovero a tutte queste personalità è il loro comportamento, appunto, da "asso pigliatutto". Io, che non sono nessuno, a cinquantun'anni sento il dovere di fare del mio meglio per aiutare le "nuove generazioni" di musicisti. Loro, a settanta e passa anni, sono ancora lì a contrattare "cachet" milionari, a dirigere e incidere tutto e il contrario di tutto, a racimolare ogni centesimo che passa nelle loro vicinanze, e poi si lamentano che non ci sono soldi per la cultura... Per forza, se li sono intascati tutti loro e quelli come loro... Agenti, sovrintendenti, e compagnia cantante (nel vero senso della parola) :-)

Ad Allevi, e tanti come lui, non rimprovero quasi niente, se non forse anche in questo caso il presenzialismo da candidato sindaco di paese, l'occhio molto attento alla pecunia e lo sfruttamento dei gusti un poco involuti del grande pubblico. Diciamo che, in base ai criteri che elencavo sopra, la musica di Allevi che ho sentito non ha una grande struttura e usa un linguaggio tra il tardo ottocentesco e il pop, di cui mi pare utilizzi anche una certa ripetitività. Diciamo che non mi fa piacere l'idea che Napolitano, che passa per essere uomo istruito, giubili per la presenza di Allevi al Quirinale. D'altra parte l'ignoranza musicale che ci portiamo tutti con noi pare derivi anche da un altro napoletano, Benedetto Croce, che era il "guru" del suo tempo e quando si riorganizzò la scuola italiana fu molto influente nel consigliare sulle materie "importanti" e quelle "meno importanti". Siccome a Benedetto Croce la musica piaceva poco, nella scuola italiana la musica ebbe il posto che sai.

Dal punto di vista dell'esecuzione, poco posso dire perché io suono, come sai, molto male. E dal punto di vista della direzione, nulla so, non avendolo mai visto dirigere. Mi lascia un po' perplesso (lui come tutti gli altri) il fatto che diriga musica sua. Questa è una fisima mia personale, ma non mi piacciono i compositori che si dirigono. Mi è sempre sembrato un comodo escamotage per evitare il giudizio di altri musicisti ma, ripeto, questo è un tarlo mentale mio e non pretendo che sia universale.

Un'altra cosa che non mi piace di Allevi (e non mi piaceva di Steven Schlacks e Richard Clayderman, che tu per motivi anagrafici non puoi ricordare) è il meccanismo, tipico della musica pop, che mette in primo piano l'interprete rispetto all'opera. Sicuramente avrai notato che, mentre nella musica (come dire? Classica? Beh, diciamo classica), l'autore viene prima dell'esecutore, come puoi vedere in tutti i programmi di sala e sentire negli annunci radiofonici, nella musica, diciamo "leggera", l'interprete ha la meglio sull'autore. Sino a quando Paolo Conte faceva l'avvocato, tutti pensavano che "Azzurro" fosse di Celentano, ad esempio. Ma per parlare di cose meno cenozoiche, pensa a una qualsiasi canzone di Vasco Rossi e vedrai come tutta l'esecuzione e il brano siano indissolubilmente legati alla personalità del cantante, sino a rendere un'operazione quasi disperata la "cover", ovverosia l'esecuzione della canzone da parte di un altro interprete.

Nella musica che studiamo noi barboni in Conservatorio, invece, c'è sempre spazio per un nuovo interprete. Il brano musicale è compiuto in sé, nella sua struttura ed eventualmente nella sua destinazione strumentale. Le ballate di Chopin sono sempre le ballate di Chopin, che le suoni Cortot, Pollini o chiunque altro. Non vengono completamente snaturate dal cambio di interprete, e tra l'altro gli interpreti della musica classica si fanno un dovere, quasi sempre, di "tirarsi indietro" di fronte al brano e al volere del suo autore, ovvero di non intridere troppo della loro personalità un lavoro musicale che esisteva prima di loro ed esisterà anche quando loro non ci saranno più.

Come vedi, questo è un rivolgimento copernicano, rispetto alla musica pop. E proprio il rapporto con la musica di tipo "pop" è una delle cose che non mi piacciono nell'uomo Allevi (non voglio dire che sia una carogna, poverino, semplicemente trovo che sarebbe più "sobrio" fare un passo indietro anche rispetto alla propria musica). Invece mi pare che una grande parte del fascino della musica di Allevi sia il suo proporsi come "elfo" o "peter pan" (anche se ormai ha 41 anni), il ricciolo incolto, la felpa e i jeans per strizzare l'occhio ai giovani e dire all'incirca "io sono semplice, vivo solo della mia musica, non mi interessano le cose del mondo"... Una specie di S. Francesco della tastiera insomma. Peccato che le succulente royalties dei dischi ci pensi sua moglie, a raccoglierle, e che i suoi concerti, sospetto, non siano né gratis, né a prezzi popolari. Come vedi, non critico troppo il comportamento, ma dico semplicemente che mi pareva molto più genuino Liberace (altro pianista che mandava in visibilio il pubblico, questa volta americano, tanti anni fa) che faceva sfoggio di sfarzo e lusso senza prendersi troppo sul serio, quasi a dire "guadagno un sacco di soldi ma è tutto un gioco, non sono queste le cose importanti" (tieni conto che faceva collezione di automobili e le teneva nel salotto di una casa enorme, come quella di Panariello nella pubblicità della Wind).

Dal punto di vista dei contenuti, ripeto, non mi piace tanto sentire parlare di Allevi come della "nuova musica". Questo possono dirlo solo coloro che hanno smesso di seguire l'evoluzione della musica più o meno all'altezza di Chopin. Da allora ne sono passate di... note sotto i ponti, e il linguaggio di Allevi, tutto è meno che nuovo. Diciamo che solletica un po' il romanticismo semplice della maggior parte delle persone, che dopo una giornata magari stressante e vivendo una vita, come tutti, insoddisfacente, trova gradevole rifugiarsi in una realtà differente, come può essere quella evocata da un certo tipo di musica. Budda diceva che la causa di tutti i mali dell'Uomo è il non accettare la realtà per quella che è, e certi fenomeni artistici, e in qualche caso artigianali, titillano il desiderio che tutti abbiamo di trovare rifugio in paesaggi mentali fatti di lune piene, unicorni, natura incontaminata e partner bellissimi. O anche di situazioni conflittuali e romanticamente disperate, che magari ci vedano protagonisti, che evidenzino la meravigliosa persona che è in noi e che l'umanità abbrutita non riesce a scorgere...

Detto questo, anche io penso che non sia bene esacerbarsi contro questa o quella persona o questo o quel fenomeno artistico. Se una cosa non mi piace, semplicemente non l'ascolto e ne ignoro l'esistenza. Non penso che coloro a cui piace siano in qualche modo meno dotati di senso critico di me. Semplicemente non mi importa ne della cosa, ne di coloro a cui piace. A tutti piace mangiare il pesce, a me da la nausea solo pensarci. Ma non per questo pretendo che il pesce sia un cibo da evitare o che il mangiare il pesce sia un'azione inconsulta dettata da scarse capacità mentali.

Bisogna evitare sempre di scadere nella guerra di bande, o nella valutazione di tipo calcistico. Ormai pare che si debba sempre stare o di qua o di la, che non vi sia una via di mezzo. O si guarda la televisione o non la si compra nemmeno. O si ascolta Allevi o si ascolta Kissin. O si è una cosa o si è il completo opposto di quella cosa. Io trovo che sia meglio chiamarsi fuori dalle diatribe che non interessano, che non sia molto elegante dare addosso a qualcuno che fa più soldi di te (sembra sempre una cosa dettata dalla gelosia economica anche quando non è così) e che sia in generale meglio occuparsi delle tante cose che ci piacciono invece che di quelle che non ci piacciono.

Non vado oltre su quanto penso del panorama "culturale" italiano corrente, perché poi verrei meno ai miei stessi principi. Però, dopo questa lunga articolessa, esorto te e i tuoi colleghi studenti, tutti bravi ragazzi in un modo o nell'altro innamorati della musica, a considerare sempre l'oggetto sonoro più importante di chi gli sta dietro, anche dello stesso autore. Se dovessimo analizzare a fondo le vite dei "grandi" musicisti, lo sai anche tu, quante bassezze, quante meschinità, quanti vizi potremmo scoprire. Ma il loro lavoro resta, anche se sono polvere da tanto tempo i loro corpi umani e sottoposti alla maledizione della materia.

Ma quando Allevi non ci sarà più, ci sarà ancora la sua musica?

Con affetto

Marco Simoncini

giovedì 25 novembre 2010

Come in Italia si incentiva Internet...



Copio biecamente dal blog di Stefano Quintarelli:


Questo è un provvedimento del CdM del 22 ottobre scorso.


Se vuoi attaccare un oggetto alla rete (non terminale/pc, ma router, switch, ecc), devi essere un installatore iscritto all'albo (per tutto, eccetto ciò che verrà esplicitamente escluso (2.f)) pena sanzione da 15.000 a 150.000 euro




Governo Italiano - Provvedimenti.


1. Gli utenti delle reti di comunicazione elettronica sono tenuti ad affidare i lavori di installazione, di allacciamento, di collaudo e di manutenzione delle apparecchiature terminali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1), che realizzano l’allacciamento dei terminali di telecomunicazione all’interfaccia della rete pubblica, ad imprese abilitate secondo le modalità e ai sensi del comma 2.


sarebbero "le apparecchiature allacciate direttamente o indirettamente all’interfaccia di una rete pubblica di telecomunicazioni per trasmettere, trattare o ricevere informazioni; in entrambi i casi di allacciamento, diretto o indiretto, esso può essere realizzato via cavo, fibra ottica o via elettromagnetica;"


2. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, il Ministro dello sviluppo economico, adotta, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, un decreto volto a disciplinare:


a) la definizione dei requisiti di qualificazione tecnico-professionali che devono possedere le imprese per l’inserimento nell’elenco delle imprese abilitate all'esercizio delle attività di cui al comma 1;


b) le modalità procedurali per il rilascio dell’abilitazione per l’allacciamento dei terminali di telecomunicazione all’interfaccia della rete pubblica;


c) le modalità di accertamento e di valutazione dei requisiti di qualificazione tecnico-professionali di cui alla lettera a);


d) le modalità di costituzione, di pubblicazione e di aggiornamento dell’elenco delle imprese abilitate ai sensi della lettera a);


e) le caratteristiche e i contenuti dell’attestazione che l’impresa abilitata rilascia al committente al termine dei lavori;


f) i casi in cui, in ragione della semplicità costruttiva e funzionale delle apparecchiature terminali e dei relativi impianti di connessione, gli utenti possono provvedere autonomamente alle attività di cui al comma 1.


3. Chiunque, nei casi individuati dal decreto di cui al comma 2, effettua lavori di installazione, di allacciamento, di collaudo e di manutenzione delle apparecchiature terminali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1), realizzando l’allacciamento dei terminali di telecomunicazione all’interfaccia della rete pubblica, in assenza del titolo abilitativo di cui al presente articolo, è assoggettato alla sanzione amministrativa pecuniaria da 15.000 euro a 150.000 euro, da stabilirsi in equo rapporto alla gravità del fatto.


Scegliete voi se ridere o piangere.
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Io piango, perché si continua a partorire regole per il solo piacere di non poterle rispettare, né fare rispettare. Solo nella speranza di fare cassa... Non mi assiste nemmeno più l'ironia, mi viene solo voglia di emigrare...